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Gallerie d'Italia - Vicenza
Dal 6 luglio al 16 novembre 2025
Nell’ambito del progetto “Vitalità del Tempo”, dedicato alla valorizzazione delle collezioni d’arte moderna e contemporanea di Intesa Sanpaolo, la Sala dei Fauni accoglie un nucleo di 14 opere dello scultore Arturo Martini provenienti da diversi nuclei collezionistici che nel tempo sono confluiti nel patrimonio artistico del Gruppo.
Protagoniste dell’allestimento, ideato da Luca Massimo Barbero, curatore associato delle collezioni, le due bellissime sculture raffiguranti La Pisana, una delle figure più affascinanti ideate da Arturo Martini. Dedicata alla protagonista femminile del romanzo di Ippolito Nievo Confessioni di un italiano, a seguito di un’attenzione per lo scrittore italiano condivisa con una cerchia di amici, la Pisana raffigura una tipologia, quella della figura sdraiata, che Martini ha interpretato in alcuni lavori fra gli anni Venti e Trenta, attribuendo ad essa una qualificazione sempre naturale e veritiera. Fluidità delle forme e sensualità della posa ne fanno una delle sue opere più compiute, nella metafisica bellezza. In mostra vengono presentate due versioni della scultura, quella in gesso, realizzata da Martini nel 1930 ca e proveniente dalla raccolta del Banco Ambrosiano Veneto, e uno dei sei esemplari in bronzo fusi postumi (esattamente il primo di sei) su autorizzazione degli eredi, proveniente dalla Collezione Luigi e Peppino Agrati – enciclopedica raccolta d’arte contemporanea formata tra gli anni Sessanta e Ottanta del Novecento, la Collezione è confluita, grazie al lascito del Cavalier Luigi Agrati, nel patrimonio storico-artistico tutelato e valorizzato da Intesa Sanpaolo.
In mostra anche un nucleo di opere provenienti dalla raccolta della Cassa di Risparmio di Venezia: due sculture in pasta cementizia e otto bassorilievi in bronzo. Le due sculture in pasta cementizia, che raffigurano l'Allegoria del mare (con Ercole che tiene una pelle di leone e una conchiglia) e l'Allegoria della terra (con un agricoltore che tiene un fascio di spighe), realizzate intorno al 1910, risalgono al periodo in cui Martini lavorava nella fabbrica di ceramiche di Gregorio Gregory a Treviso. Fu proprio grazie a Gregory e ad altri mecenati trevigiani che Martini intraprese negli anni a seguire lunghi viaggi di istruzione a Monaco e Parigi, che gli permisero di entrare in contatto con la cultura europea. La semplificazione formale, l'allungamento delle figure, la schematizzazione degli attributi e il voluto arcaismo che caratterizzarono l’opera più matura di Martini, pur riallacciandosi alla statuaria antica e al mondo mediterraneo, denunciano un atteggiamento antiretorico che contribuì al rinnovamento dell'arte plastica italiana.
Gli otto bassorilievi in bronzo furono realizzati per il bozzetto presentato al concorso per il monumento al duca d’Aosta da erigersi a Torino (1934), affidato poi a un altro scultore. Appartenuti a Egle Rosmini, compagna dell'artista dal 1930 fino alla sua morte, furono acquistati dalla Cassa di Risparmio di Venezia nel luglio del 1965. Le formelle rappresentano, con una ricerca espressiva e compositiva sofferta, diversi episodi della vita dei soldati nel corso della Prima Guerra Mondiale, ricollegandosi alle battaglie sul fronte del Piave.
La Sala dei Fauni ospita anche la scultura in bronzo di Fideuram raffigurante il Leone di Monterosso – Chimera. Pur non presentando le principali caratteristiche del mostro mitologico, ovvero la testa di capra sul dorso e la coda di serpente, molto probabilmente questa scultura viene chiamata anche Chimera per indicarne la sua derivazione alla “Chimera di Arezzo”, bronzo etrusco del V secolo a.C. (è nota la predilezione che Martini ebbe nei confronti dell’arte etrusca). Resa con un sapiente gioco di effetti chiaroscurali nel modellato irsuto della schiena e della testa, la Chimera richiama piuttosto un leone dalle fauci spalancate e atteggiamento aggressivo, con quel suo volgere il capo all’indietro come se fosse stato colto all’improvviso. Il riferimento ad un leone in effetti è anche legato ad una commissione che Martini ebbe agli inizi degli anni Trenta con i suoi principali collezionisti, l’avvocato Arturo Ottolenghi e sua moglie, la scultrice Herta von Wedekind. Questi, nella loro villa di Monterosso vicino ad Aqui Terme, oltre ad accogliere capolavori dello scultore tra i quali Il figliuol prodigo e La Pisana, commissionarono all’arista di realizzare un Adamo ed Eva in pietra per il viale centrale del parco e Leone da collocare nell’ingresso della villa. Dopo aver presentato varie proposte, Martini realizzò per Ottolenghi il cosiddetto Leone di Monterosso in pietra, mentre due versioni in bronzo – una poi entrata a far parte delle collezioni di Fideuram – furono esposte alla Quadriennale di Roma del 1935.
Completa l’esposizione l’altorilievo in terracotta, proveniente dal Gruppo UBI Banca, raffigurante una natura morta, che testimonia l’esperienza di Martini nel gruppo di Valori Plastici, all’incirca nei primi anni Venti del Novecento. Apparentemente di grande semplicità, segna il ritorno al plasticismo dopo le avanguardie sperimentali del primo Novecento.