Prospettiva Arte Contemporanea

DOVE

Gallerie d’Italia
Piazza della Scala 6, Milano

QUANDO

Dal 14 marzo al 7 maggio 2019

Fondazione Fiera Milano presenta per la prima volta al pubblico, con la collaborazione di Intesa Sanpaolo e Gallerie d’Italia, una selezione di opere provenienti dalla propria collezione che, a partire dal 2012, è stata costituita attraverso acquisizioni realizzate nel contesto di miart, la fiera internazionale d’arte moderna e contemporanea di Milano. Ogni anno, infatti, una diversa giuria composta da direttori e curatori di musei internazionali è invitata a selezionare opere d’arte presenti in fiera con l’obiettivo di incrementare la collezione di Fondazione Fiera Milano.

La mostra Prospettiva Arte Contemporanea restituisce uno spaccato della ricerca artistica italiana e internazionale attraverso le opere di artisti appartenenti a più generazioni e attivi dalla seconda metà del Novecento fino ai giorni nostri.Portavoce di linguaggi artistici differenti, le 43 opere appartengono alla pittura così come alla scultura, al film, alla fotografia, al disegno e all’installazione, e insieme costruiscono un percorso attraversato da temi quali il rapporto tra l’immaginario naturale e quello culturale, i meccanismi della visione e della rappresentazione, la tensione tra astrazione e figurazione, tra parole e gesti, tra spazio e architettura.

Uno sguardo approfondito sugli artisti in mostra

L’installazione immersiva dell’artista austriaco Hans Schabus (1970) crea uno spazio narrativo ambiguo dove oggetti provenienti da tempi e luoghi diversi si incontrano, mentre l’iconico tappeto-natura in poliuretano di Piero Gilardi (1942) condivide la dimensione immaginifica di Schabus ma indaga il rapporto tra uomo, natura e tecnologia.

Il mondo naturale è al centro della ricerca dell’artista tedesco Jochen Lempert (1958) che mette in discussione la veridicità della documentazione scientifica attraverso la creazione di fotografie dominate dall’ambiguità tra la ripresa del dato reale e l’artificio. La sua riflessione sul rapporto tra visione e conoscenza interessa anche i ritratti e le nature morte stranianti della tedesca Annette Kelm (1975) che, come anche l’artista norvegese Torbjørn Rødland (1970), esplora le convenzioni del ritratto fotografico e della messa in scena commerciale. Un analogo uso concettuale del linguaggio della fotografia è al centro dell’opera di Elad Lassry (Israele, 1977), mentre i collage surreali del britannico John Stezaker (1949) dissezionano e riassemblano immaginari cinematografici e pubblicitari.

Attraverso composizioni geometriche di ispirazione costruttivista, Barbara Kasten (Chicago, 1936) utilizza la fotografia per operare trasformazioni dimensionali dal medium scultoreo insieme a Giuseppe Gabellone (1973), con le sue sculture realizzate per essere immortalate solo come immagini fotografiche, e a John Divola (Los Angeles, 1949), con la sua documentazione formalista di spazi domestici abbandonati. Le fotografie tratta dalla serie “I travestiti”, che Lisetta Carmi (1924) realizzò a Genova nel 1965, completano questa indagine sulla rappresentazione fotografica raccontando il diritto alla bellezza e all’espressione della propria identità sessuale.

Il linguaggio dell’astrazione è un altro dei nuclei tematici presenti in mostra ed è indagato nelle immagini fluide manipolate digitalmente da Paul Thorel (Londra, 1956), nelle delicate superfici in ceramica di Nick Mauss (1980) e nell’economia di segni che caratterizza gli acquerelli del tedesco Michael Krebber (1954).

Le molteplici declinazioni possibili nel campo della figurazione, invece, sono l’ambito in cui troviamo gli oggetti quotidiani dello svizzero Nicolas Party (1980) – sospesi tra colori pop e qualità formali metafisiche – i soggetti religiosi di Alessandro Pessoli (1963), i paesaggi minacciosi di Monica Bonvicini (1965), i misteriosi personaggi carnevaleschi della tedesca Ulla von Brandenburg (1974) e i ritratti scultorei di grandi pensatori del ‘900 che l’artista polacca Goshka Macuga (1967) ha trasformato in eccentrici vasi. La più intima dimensione del disegno è protagonista negli intensi volti femminili dalla natura arcaica di Marisa Merz (1926) e negli energetici ritratti antropomorfi a biro rossa di Diego Perrone (1970). La rappresentazione del figura umana nelle sue implicazioni sia formali sia storiche e politiche interessa gli assemblaggi di silhouette dell’austriaca Kiki Kogelnik (1935-1997), le alterazioni inquietanti apportate alla ritrattistica Biedermeier da parte di Markus Schinwald (1973) e i volti di personaggi famosi parzialmente cancellati da Stefano Arienti (1961) fino a rivelare fisionomie inedite.

L’indagine sui segni, sul linguaggio e sui sistemi di produzione del significato attraversa le opere di artisti come Irma Blank (1934), Andrea Büttner (1972), Dadamaino (1930-2004) e Matt Mullican (1951) che, con attraverso poetiche diverse tra loro, esplorano le relazioni tra immagini e parole, traccia pittorica e linguaggio, dominio della razionalità e dominio del corpo.

Il linguaggio della scultura, infine, percorre la mostra nelle opere di artisti che ne ricercano i significati nei materiali, nello spazio e nelle sue relazioni con l’architettura. Le geometrie di Lisa Dalfino (1987) e Sacha Kanah (1981) interpretano lo spazio come leggerezza e trasparenza, mentre Gregor Schneider (1969) ne esplora le implicazioni psicologiche creando dei doppelgänger che si insinuano nei recessi della memoria. Se Paolo Icaro (1936) realizza fusioni in bronzo che rispondono in maniera organica alla storia dell’architettura, June Crespo (1982) compone assemblaggi di elementi architettonici riprodotti in cemento, mentre Luca Monterastelli (1983) dallo stesso cemento estrapola una riflessione sulla dimensione monumentale e ideologica del modernismo. I delicati bassorilievi in creta cruda di Anna-Bella Papp (1988) traducono la scultura in una pratica intima, mentre Salvatore Arancio (1974) esplora con la ceramica certe rappresentazioni scientifiche e grottesche della natura. Chiara Camoni (1974) e Diego Marcon (1985), infine, collocano la riflessione sullo spazio e i materiali in un’ulteriore dimensione, ovvero quella temporale, esaminando l’apparizione e la sparizione delle forme, la prima nelle sue concrezioni di ceramica e il secondo nei suoi film in pellicola.